Tra le varie zone di Pantelleria quella di Scauri è certamente una tra le più conosciute dal punto di vista archeologico, essendovi state condotte a più riprese, dal 1999 in poi, approfondite ricerche e campagne di scavo sia nell’area dello scalo a mare che in quella a terra, a sud dell’attuale abitato. Il quadro emerso dai dati a nostra disposizione descrive una zona fortemente insediata senza apparente soluzione di continuità, almeno nei periodi tra il IV e III a.C. e il IV e V secolo d.C. Già all’inizio di questo arco cronologico, quando ancora l’isola era sotto il controllo cartaginese, lo scalo marittimo doveva essere funzionante e dotato di infrastrutture, come testimoniano le numerose cisterne puniche per la raccolta dell’acqua piovana presenti sul piccolo promontorio ad est del porto. Altre tracce di insediamenti sono visibili anche nel vasto e fertile pianoro soprastante dove antiche cisterne oggi sono occupate da gruppi di dammusi. Secondo le ipotesi più accreditate, piuttosto che di un vero e proprio villaggio, si tratterebbe di piccole fattorie ognuna facente capo ad un proprio podere. La conquista romana fu ben lungi dal porre fine alla prosperità della contrada e con il trascorrere del tempo Scauri divenne sempre più importante. In epoca imperiale una delle fattorie si ingrandì a tal punto da determinare l’abbandono di molte altre, dando così vita ad una sorta di latifondo. Contemporaneamente anche lo scalo, il secondo dell’isola dopo quello di Pantelleria centro, acquisì una funzione più strategica. Nel VI secolo d.C., in un’area poco lontana dal luogo dove si trovavano le cisterne puniche, venne costruita una serie di magazzini e abitazioni destinati ad accogliere una piccola comunità dedita alla pesca e allo stoccaggio del vasellame di produzione pantesca destinato all’esportazione. Queste ceramiche da fuoco locali (pentole, tegami, coperchi, terrine) classificate come Pantellerian ware, erano rinomate per l’ottima resistenza al fuoco dovuta all’impiego dell’ossidiana come componente.
Proprio nelle acque antistanti questo stanziamento è stato identificato e scavato un relitto navale, risalente alla metà del V sec. d. C, carico di ceramiche da cucina del tipo Pantellerian Ware. L’imbarcazione, probabilmente diretta in Nord-Africa dalla quale presumibilmente proveniva, naufragò davanti al molo a causa di un incendio sviluppatosi al suo interno. Il deposito archeologico della nave è inoltre composto da altri oggetti di produzione nordafricana: ceramica comune da mensa, ceramica da cucina, lucerne e numerose forme di sigillata africana. La metodologia di scavo, rilievo ed analisi del materiale è stata concepita per creare una banca dati digitalizzata (G.I.S.), documentata attraverso rilievi topografici, fotogrammetrici e piante tematiche delle fasi di scavo. Il materiale è distribuito su un’area molto vasta. Le anfore maggiormente attestate sono di produzione africana; le classi ceramiche e le tipologie rinvenute confermerebbero come datazione la prima metà del V sec. d. C., trovando un perfetto riscontro con il contesto archeologico della baia dove sono presenti i resti dell’insediamento abitativo e commerciale. Tra gli altri reperti si segnalano numerosi piccoli oggetti in osso quali spilloni, spatoline, dadi da gioco, vetri, bicchieri, coppe, vaghi di collana e un anellino in argento con corniola. E ancora, numerose àncore litiche trovate nei fondali del porto dimostrano l’intensa frequentazione dell’approdo dalla prima età imperiale fino al periodo tardo romano. Con l’inizio del medioevo, tra il V ed il VI secolo, tutti gli stanziamenti pare siano stati abbandonati per cause ancora sconosciute. Oggi il sito è oggetto di indagini archeologiche grazie all’apertura di campi scuola rivolti a studenti di varie università.
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