Anni or sono, nelle acque di Capo Gallo di fronte al cantiere Motomar, venne identificato su un fondale sabbioso ad una profondità di circa 25 metri, un relitto caratterizzato dalla presenza di un carico composto da anfore di epoca romano-repubblicana (fine del II-inizio del I secolo a.C.). Si tratta di anfore cilindriche molto affusolate di tradizione punica che presentano una parte inferiore rastremata a punta, due piccole anse nella parte alta del corpo, prive di collo con orlo quasi indistinto verticale e leggermente ingrossato. Sono contenitori utilizzati per il trasporto di derrate alimentari solide (grano o garum) quasi sempre dotati di coperchio conico con pomello centrale.
Nell’area del relitto la Soprintendenza per i Beni culturali ed ambientali di Palermo effettuò una ricognizione, pur con limitati sondaggi di scavo con sorbona, in collaborazione col gruppo dei sommozzatori della Polizia di Stato appositamente giunti a Palermo. A quelle ricerche partecipò anche l’indimenticabile Giuseppe Nicolicchia, subacqueo tragicamente scomparso alcuni anni fa.
Purtroppo le ricerche non diedero l’effetto desiderato sia per la difficoltà di identificare con esattezza il luogo del relitto che per le condizioni meteomarine avverse che contraddistinsero quel periodo di lavoro, pertanto si potè individuare soltanto l’areale di dispersione del carico.
Dai frammenti anforacei recuperati è stato possibile desumere che si trattasse di un’imbarcazione naufragata al largo di Capo Gallo in avvicinamento dalla Sardegna. Si tratta, infatti, di un carico di anfore assimilabili, come derivazione, al tipo Ramón Torres T-9.2.1.1, rappresentandone però una variante più affusolata di probabile manifattura e provenienza sarda. Questi reperti, oggi, sono conservati nei magazzini della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Palermo.
Il relitto di Capo Gallo
Nel 1997, a circa 700 metri a nord del cantiere navale e del porticciolo di Capo Gallo su un fondale sabbioso profondo 30-35 metri venne localizzato, grazie alle informazioni di un appassionato, un relitto di epoca punica, già parzialmente saccheggiato, databile presumibilmente al III secolo a.C., con anfore a siluro e parti lignee dello scafo. L’intervento venne realizzato dal Gruppo d’Indagine Archeologica Subacquea Sicilia (GIASS) e dalla Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo col supporto della Polizia di Stato e la collaborazione dei subacquei di un Diving locale.
Nella stessa zona, in tempi più recenti, è stato fatto un altro ritrovamento su segnalazione di Francesco Pedone, un pioniere della Subacquea siciliana che negli anni ’60 del secolo scorso ha partecipato alle prime immersioni sul relitto a 47 metri di profondità e a 700 metri dalla Grotta dell’Olio recuperando alcuni reperti poi consegnati a Vincenzo Tusa allora Soprintendente alle Antichità della Sicilia Occidentale e Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Palermo (oggi Museo Archeologico Regionale "Antonino Salinas"). Francesco Pedone aveva promesso di portare Sebastiano Tusa nel luogo del ritrovamento ma l’improvvisa scomparsa dell’archeologo non l’ha consentito. Tuttavia quell’impegno, quella promessa Pedone l’ha mantenuta con Valeria Li Vigni, attuale Soprintendente del Mare e moglie del compianto Tusa, fornendo il punto esatto del sito del relitto affondato con il carico ancora intatto, consentendo così di poter sviluppare la ricerca e lo scavo sul campo.
Il relitto medievale di Mondello
Fra i primi interventi di recupero di reperti archeologici subacquei effettuati agli albori di questo millennio dal Servizio Coordinamento Ricerche Archeologiche Sottomarine (SCRAS), c’è stato quello nel golfo di Mondello, fra il Paese e il cosiddetto Stabilimento, condotto d’intesa con la Soprintendenza ai Beni culturali di Palermo ed il Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri. Le ricognizioni e lo scavo condotto a poca profondità hanno permesso il rinvenimento di materiali ceramici di almeno quattro fasi storiche differenti: II-I secolo a.C. (anfore tipo Dressel 1A), I-II secolo d.C., VI-VIII secolo d.C. nonché, fra i più numerosi, frammenti di ceramica invetriata e anfore a cannelures del XII secolo d.C. E ancora sono stati ritrovati parti lignee dello scafo e della chiglia di un’imbarcazione e numerosi chiodi di ferro che verosimilmente si possono datare al XII secolo d.C., come il maggior numero di ceramiche presente nell’area indagata. Senza dimenticare l’individuazione di àncore di varie tipologie, una trentina tra bizantine e del tipo ammiragliato.