Le Scoperte
Il Satiro di Mazara del Vallo

Nella notte del 5 marzo del 1998  il motopesca “Capitan Ciccio”, comandato da Francesco Adragna , entrava nel porto di Mazara del Vallo recando sulla poppa il frutto di quella che si sarebbe rivelata la “pesca” più fruttuosa della sua attività e, senza dubbio, di tutta la marineria dell’importante porto siciliano: la statua del Satiro danzante che era rimasta impigliata nella rete a strascico, a circa 480 metri di profondità tra Pantelleria e Capo Bon, a Sud della Sicilia.

Il Satiro è privo delle braccia e della gamba destra, quella portante; la sinistra è  stata recuperata prima ed è separata dal corpo. Presenta una vasta lacuna sulla sommità del capo presso la fluente capigliatura lavorata a freddo mediante bulino. Manca anche la coda situata al centro della zona lombare dove, attualmente, si riscontra il foro circolare per il suo inserimento.  Gli occhi, tra le palpebre prive di ciglia, erano stati realizzati incastonando dopo la fusione due mandorle d’alabastro che presentavano l’alloggiamento circolare per l’iride andato perduto. La bocca è socchiusa con labbra ben disegnate. La realizzazione della statua fu lunga ed elaborata a causa del suo articolato movimento che ne inibiva la fusione unitaria. È il prodotto di più parti saldate successivamente: la testa, il torso, le braccia, la gamba destra a partire dalla metà della coscia e la gamba sinistra. Sesso e alluce furono realizzati in fusione piena. La testa presenta le soluzioni tecniche più originali poiché, dopo la saldatura della calotta al settore frontale, fu lasciato aperto il settore occipitale dove le ciocche (delle quali alcune furono realizzate a parte) risultano assemblate ai suoi margini.

 

Secondo il parere di alcuni archeologi, tra cui Sebastiano Tusa, il Satiro danzante è un originale greco del primo ellenismo prodotto nei decenni che contraddistinguono quel momento di trapasso tra il tardo classicismo e il primo ellenismo. La grande forza impressa al movimento del Satiro da una grande personalità artistica è la chiave per capire la grande fortuna che ebbe questa iconografia nei secoli a venire. Innumerevoli sono, infatti, le opere, sia scultoree che pittoriche o di oreficeria, che ritraggono satiri o menadi nel medesimo vorticoso movimento. Quella felice e riuscita intuizione cinetica trasferita mirabilmente nel bronzo del Satiro ebbe una fortuna immensa tanto da essere ripetuta in una molteplicità di opere fino al periodo romano inoltrato, e cioè per almeno cinque secoli.
 

Il ritrovamento del Satiro danzante ha dato il via alla collaborazione tra i paesi rivieraschi del Mediterraneo nell’ottica di un rinnovato rispetto delle dinamiche culturali, nell’obiettivo di rinsaldare il dialogo tra i popoli per una fruttuosa cooperazione finalizzata alla tutela del nostro patrimonio sommerso.  Occorrevano, però, norme condivise che Sebastiano Tusa indicò nella Carta di Siracusa del 2001, documento propedeutico alla normativa Unesco di quegli stessi anni, che ha regolamentato il patrimonio culturale sommerso. Tali norme erano finalizzate inoltre a bloccare l’azione incontrollata dei cercatori di tesori, quei predatori di reperti del più grande Museo del Mondo, il Mediterraneo.